Ragazzi di vita

Eterno studente perché la materia di studio sarebbe infinita e soprattutto perché so di non sapere niente.

Sfiorare (it’s not hard to fall)

La consapevolezza di diluire

la sopravvivenza

si fa

sempre

più critica e reale.

Se è vero che bisogna partire dalla non volontà allora non voglio riempire un vuoto. Non voglio sovrascriverti su altre persone né perderti nel vuoto digitale. Nessuna tacita dipendenza affettiva, nessun disagio emotivo criptico, solo la palese lapalissiana pleonastica bellezza della connessione creata. La ninna nanna laica sotto i portici di Bologna e lungo la Senna deflagrata. Te la suonavo ogni giorno nella speranza di scivolare ed essere assorbiti da tutto il mondo, navigando tra le altalenanti esistenze che ora non ci colpiscono più. Ora aspetto solo segnali di vita in zone remote dell’anima o in organi decaduti, senza l’alone o l’ombra di ricominciare. Rimango impenitente e pavido dinanzi il tuo fuoco visibile da questa isola vulcanica, nel vento ti respiro ancora, il suono delle maree coincide con la collisione delle nostre sensibilità.

Sulla ciclabile per casa tua sopra l’Amstel c’era un ragazzino che pedalava e lacrimava domandandosi quando fu il momento esatto in cui la tua presenza divenne così imponente nel suo cuore e com’è ora portarti con sé tutti i giorni.

Per osservarti meglio correvo sempre più su, nella speranza di una nuova prospettiva da Belém. Forse lassù è ancora il luogo giusto per pensarti. Forse da quassù il respiro si mischia ancora con le infinite necessità e vede tutte le melliflue montagne che ho dovuto inghiottire.

Quanto poteva essere illuminante

osservare il cielo

mentre volevo

solo seguire

il sole

negli infiniti cambiamenti del cuore?

Sui tornanti e nei labirinti alternati dalla necessità di ritrovarti oltre le nuvole, immergendomi nei felici pochi, ritrovo le solite cose.

Nel silenzio vivo la cena di sempre, il consueto galleggiamento esistenziale, i candidi segni d’avvertimento lungo la mia mente.

Nella pioggia inciampo in un etereo patema, nessun eroe nella brezza, il rifiuto dei miei occhi di detestarti.

L’impossibilità affligge questo momento

l’ineluttabilità comprime quest’attimo

la penuria vitale

l’inerme vuoto inscindibile

la finzione di queste mani

che ancora si poggiano

sul tuo sollievo

Tuturu tuturu

Come dare torto a questa pioggia che cade in una provincia remota di domenica sera e sa di piscio?

Ammassi solitari di cellule nella periferia dell’anima, tra Bangalore e Pieve di Cadore, a sognare di ricominciare nel nostro favoloso mondo di. Il flusso ci ha depistato da ciò che conta e portato via pure i ritornelli delle canzoni che risuonano “na na na”.

Ti va se ti abbraccio più forte? Sono stanco di vedermi scappare ogni volta e a malapena tollero la repentina e indigesta voglia di avere qualcuno affianco con cui affrontare l’ineluttabilità della quotidianità. Ho perso la magia, non riesco più a guardare oltre e detesto sapere che ciò non cambierà. Sono abbastanza solito cadere e forse neanche mi interessa più di tanto imparare da questi capitomboli.

Nel frattempo sei rimasta in piedi, fumi statica e inerte nel devasto totale di questa città. Osservo i tuoi lividi sul cuore, le rovine sul tuo corpo, luminose derive e naufragi interiori. Vivi attraverso i più neri istanti e rispondi a ciò che capita. I capelli non tagliarli mai, anche se sei a pezzi. Lascia stare le scritte sui muri di Bologna o gli psichiatri di Copenhagen, tra le mie braccia – ancora – sì, c’è il mare e la solitudine del male (e tutto il vuoto che tocca superare). Lascia parlare le tue mani.

Tutto lascia traccia, anche questo cielo nero che prova a tirarmi giù e comunicarmi respiri affannati, notti difficilissime. Cosa realmente tiene in vita è un raggio che segue, la casa su quattro ruote, l’al di là del fiume, correre nella luce, piangere e sorridere dai tetti altissimi e lerci della città, l’odore di cesso che pervade l’essenza di ciascuno, disgregare nodi che dal pettine alla gola resistono, l’oltre questo basso senza abbellimenti.

Rinasceremo democristiani, non avremo tristezza da trasmettere alla nostra prole, fumeremo il tempo andato, splenderemo sulle circostanze non favorevoli, sfonderemo i divari interni come tutto ciò che sarà negli innumerevoli domani.

Rinasceremo senza scuse per lambire questa solitudine, la felicità sarà un cubo di Rubik da dirimere, la vulnerabilità sarà bellezza e il mondo sarà salvato da una qualsivoglia catastrofe.

Poi ricordo che è solo domenica sera: basta respirare per realizzare di essere vivo.

Meandri

Bruciarono frasi lisergiche

non vissi più tra i meandri

di quella mente affastellata

dalla tua non presenza.

Mai attraversammo il mare,

non sfiorammo quei portici,

ma fu soltanto l’indolenza della strada

che non ci afferrò più.

Niente scorciatoie dell’anima,

restò solo ciò che vedemmo

più nostro solo

quando volato altrove

Quegli angoli furono sempre oro

dove stendermi per ammirare

riflettere i luminosi sogni

e il loro tacito dispiegarsi.

Schiarita

Non attendo la perfezione

per la deflagrazione,

mi sfioro

dimenticando di esistere tra gli altri.

Il coraggio dei giorni usurati,

incolpandomi del vento taciuto

che, squarciando la risacca dell’anima,

lascia fluire parti del tutto.

Grame consolazioni

arrestano l’essere,

pensare e sentire rinunciano

all’alta velocità della dispersione.

Nella tua lucerna percepisco la direzione,

bramo l’ondata vibrante della totalità,

ansimo per la schiarita

di questo cielo mai sbagliato.

Uragano

Mi manca solo quando respiro

bussando distrattamente

a incolmabili groppi

e improbabili volontà.

Torna sulla lunga strada ,

devota a una nuova identità,

indolenzita dall’ennesima speranza,

interrotta dal vivo caos.

Ora giace su tetti in fiamme

maleodorante e nauseabonda:

la prossima menzogna

sarà la sua solitudine.

Bianco

Uno scorcio di mare c’è dato

nel bianco perimetro di questo ardore.

Arrabattarsi per un briciolo di sole,

un grammo di sale

rigenera il mio respiro,

l’onda melliflua

mi scruta senza scalfirmi.

Solo davanti gli occhi

ciò che non è mai stato

mentre dal petto

pezzo dopo pezzo

dipartono tutte le imbarcazioni.

Nel candore stringo e trattengo il solito vuoto,

tra le mani sospiro l’ennesima cicatrice

in disparte mi perdo nella madreperla cangiante

aspettando il mio ritorno alla polvere.

Un minuto di debolezza

Tutto ciò che chiedo a questa estate addormentata è un minuto di debolezza.

Sono stufo di compromessi, convenzioni, mediazioni, del buon giorno e buona sera col pugnale pronto dietro la schiena, l’aria spezzata, il tempo sempre uguale, l’ansia della discesa, occhi senza luce, galleggiare nell’abisso, vite senza trame, la lunga attesa che il tempo non ci sia più.

Quando nel mare annegai ricordo ancora chiaramente il ponte della libertà, forte il vento nelle orecchie, i pensieri lontani, il silenzio clamoroso che oramai sdogana i vecchi dolori.

Quei raggi di sole riflessi nell’acqua furono consapevolezza arguta dell’inesistenza e inettitudine della solitudine, quelle lacrime mi portarono la solidarietà della terra alla quale resto connesso pur volandone via ogni attimo.

Ora sono solo stanco.

Alla fine del mare vedo sollievo senza una precisa rotta.

Alla fine del mare vedo altro mare e poi mare, mare, mare, fino a restituire un velo di umanità.

Alla fine del mare vedo un momento di debolezza, uno solo, un lascito emotivo, un totale abbandono alla pura esistenza dell’individuo.

Prima che bruci il mare

Anima bella

gli occhi hanno bisogno di mare,

una panoramica di vitalità

un riflesso fulgido di sé.

Anima splendida

l’ essenza ha bisogno di cielo,

cimentarsi nell’arte di vivere

vedendo spirare queste parole.

Anima meravigliosa

questa mente ricerca silenzio,

nella recondita autenticità

taciturna e viva.

Standard

Lividi sulla fiducia

errabonda ricomincia ad aprirsi

e a stringersi più forte

fra queste dita.

Nella realtà inciampa

crolla nel primo vento

naufraga nell’incertezza

delude i suoi incubi.

È inarrestabile catastrofe

imperitura impressione di scomparsa

tramonto isolato

flebile e nitida evasione.

Spento

Nelle notti spente

si torna ad ardere,

a fare attenzione,

a giurare di essere sé stessi.

Nella benzina potenziata

brillano umori di cristallo ,

roventi di gelidi coltri,

guadati dal passo cardiaco.

Ritrovo il mio gruppo di colpe

annaspo nel rimpianto

senza discernere nubi

o restanti residui di vita.

Così oso: nella deflagrazione

ritrovo frammenti d’identità,

ricompongo il dolore

e la vita senza rumore.